La Smart City in Italia mostra timidi segnali di risveglio, ma le iniziative tendono ancora ad arenarsi dopo la fase di slancio iniziale e si diffondono “a macchia di leopardo”, senza un programma strutturato come evidenziato nel report realizzato dall’Osservatorio del Politecnico di Milano su “Internet of Things per la Smart City”.
In Italia si contano numerose iniziative che utilizzano le tecnologie digitali per rendere più smart le città: il 48% dei comuni con più 15.000 abitanti ha avviato almeno un progetto nel triennio 2015-2017. I comuni hanno avviato diverse iniziative, ma la maggior parte dei progetti si è fermata alla fase di sperimentazione. Solo nel 37% dei casi si è riusciti ad andare oltre, estendendo i progetti all’intero territorio urbano in modo permanente.
Se si analizza la situazione all’estero, si può osservare che nemmeno oltralpe ci troviamo di fronte a uno scenario pienamente consolidato: diverse città europee hanno avviato progetti best practice da seguire e altre che replicano, adattandole al proprio contesto, le iniziative avviate.
Alcune grandi città, come Milano e Torino, stanno portando avanti programmi a 360° sulla Smart City al fine di garantire servizi alla comunità. A Segrate è stata annunciata la costruzione di Milano4you, uno Smart District di circa 90.000 m2 in grado di sfruttare soluzioni energetiche e architettoniche all’avanguardia, dotato di un sistema operativo per catturare, integrare ed elaborare i dati provenienti da diverse fonti (ad esempio ambientali, energetici, legati alla sicurezza o alla mobilità) per offrire più servizi ai residenti.
I progetti avviati dai comuni italiani risultano penalizzati da barriere ormai croniche, è necessario ripartire dal valore della Smart City, anche grazie a una corretta quantificazione dei benefici e da una gestione attenta dei dati resi disponibili dall’IoT.
Tra le barriere, la mancanza di risorse economiche, l’alternarsi di amministrazioni e le competenze. Quest’ultima problematica è confermata dalla scarsa conoscenza delle novità tecnologiche: ad esempio, solo il 29% dei comuni è a conoscenza dell’esistenza di reti IoT LPWA (Low Power Wide Area), adatte per le loro caratteristiche a supportare applicazioni per la Smart City.
Al di là di queste (corrette) richieste, è indispensabile che i comuni siano consapevoli che già oggi l’investimento in un progetto Smart City può essere ripagato grazie a benefici come la riduzione dei costi nella gestione dei processi – un esempio il progetto di Raccolta rifiuti che verrà realizzato a Milano a fine 2018 -, l’incremento dei ricavi come nel caso del progetto di Gestione dei parcheggi avviato a Firenze a fine 2017.
Questa consapevolezza è però ancora bassa, se si analizzano i fattori che spingono all’avvio dei progetti emerge come la riduzione dei costi e la possibilità di incrementare gli introiti non rappresentino i principali driver. A primo posto troviamo il miglioramento di servizi esistenti, seguono la qualità della vita dei cittadini e l’introduzione di nuovi servizi.
Pubblico e privato devono fare gioco di squadra per rendere le città più intelligenti: la creazione di opportuni ecosistemi che generino valore per l’intera comunità è il vero snodo cruciale su cui fare leva per il rilancio della Smart City.
I progetti possono essere realizzati anche da attori privati: si pensi ad esempio a chi gestisce gli stalli dei parcheggi, alle società incaricate della raccolta rifiuti o a quelle che forniscono servizi di car o bike sharing.
In questo quadro si individuano 3 ruoli:
Ad oggi però solo il 12% dei comuni ha avviato una collaborazione con attori privati per la realizzazione di progetti Smart City, il 27% ha acconsentito all’attivazione di progetti da parte dei privati, mentre il 61% non ha iniziative private attive sul proprio territorio in ottica smart.
I dati che emergono dall’Osservatorio del Politecnico mettono in luce quanto sia importante lavorare sempre più sull’avvio di nuove collaborazioni nei prossimi anni, per cogliere appieno il valore aggiunto dei progetti Smart City.