Gli energy manager FIRE sono una figura chiave nel percorso di efficientamento energetico di imprese ed enti. Ciò che veniva inizialmente percepito come un ruolo “designato” sulla carta per fronteggiare crisi energetica e finanziaria, cambiamenti climatici e altre preoccupazioni dei nostri tempi, affonda oggi sempre più solide radici di concretezza nel tessuto imprenditoriale italiano. Un po’ meno nella pubblica amministrazione, ma la direzione sembra comunque quella giusta.
Lo conferma l’ultimo “Rapporto sugli energy manager in Italia – Indagine, evoluzione del ruolo e statistiche” di FIRE (Federazione Italiana per l’uso Razionale dell’Energia), che evidenzia una crescita dell’8% degli energy manager nominati dai soggetti obbligati negli ultimi cinque anni rispetto all’anno precedente.
Per meglio comprendere i successivi dettagli di questo risultato, ecco un breve excursus pratico sul ruolo degli energy manager FIRE.
La figura nasce negli Stati Uniti ai tempi della prima crisi petrolifera del 1973 e arriva per la prima volta in Italia con la legge 308/1982. La “consacrazione” istituzionale degli energy manager viene tuttavia dalla legge 9 gennaio 1991 n. 10 (art. 19), che introduce il ruolo di Responsabile per la conservazione e l’uso razionale dell’energia, obbligatorio per le realtà industriali con consumi superiori ai 10.000 tep/anno e per le imprese dei settori civile, terziario e trasporti con soglia di consumo superiore a 1.000 tep/anno.
La nomina annuale, interamente gestita da FIRE, consente alle aziende di scegliere il proprio energy manager tra i dipendenti o di affidarsi a un consulente esterno.
Ma cosa fa, esattamente, un energy manager? Ecco le attività più comuni:
Tornando con più consapevolezza al report FIRE, nel 2018 le nomine sono state 2.353: 1.589 relative a energy manager nominati da soggetti obbligati e 764 da soggetti non obbligati. Capofila tra i settori è sempre il terziario, con 483 nominati, seguito a ruota dall’industria (432 energy manager); fanalino di coda la Pubblica Amministrazione, addirittura in calo sul 2017.
Meno della metà delle città metropolitane ha inviato la nomina, mentre i capoluoghi di provincia che hanno nominato un energy manager sono solo 31 su 116. Il tasso regionale è pari al 35% e le province si fermano al 20%.
“La crescita complessiva delle nomine – spiega Dario Di Santo, direttore FIRE -, testimonia una maggiore attenzione al tema energetico-ambientale da parte delle imprese, che possono migliorare la competitività attraverso un uso più efficiente delle risorse, migliorando al contempo altri aspetti quali valore degli asset, produttività, sicurezza e comfort. Confidiamo che nel tempo possa crescere anche il numero di energy manager nominati nella pubblica amministrazione”.
L’ultimo tassello del quadro FIRE riguarda le competenze: su 1.613 energy manager interni all’azienda, sia obbligati sia volontari, 296 hanno conseguito la certificazione in Esperto in Gestione dell’Energia (EGE), mentre per quanto riguarda i consulenti esterni siamo a 525 su 740 nomine. In percentuale, gli energy manager interni certificati coprono il 18% del totale e quelli esterni il 71%.
La maggiore attenzione di imprese ed enti alle competenze degli energy manager si riflette anche nella crescita (+24% sul 2017) dell’adesione a sistemi di gestione dell’energia ISO 50001, perfettamente integrabili con il ruolo di energy manager FIRE.