Energy storage, gli stimoli necessari alla sua crescita

Come il mercato italiano dell'energy storage può giungere a piena maturità? Ne abbiamo parlato con Alberto Pinori, presidente ANIE Rinnovabili e direttore generale Fronius

Sull’energy storage l’Italia può dire la sua. Le previsioni sono a favore di un possibile primato, o comunque di una posizione d’eccellenza, ma la realtà cosa racconta? E soprattutto cosa occorre fare perché si diffonda significativamente?

Lo abbiamo chiesto ad Alberto Pinori, in veste istituzionale quale presidente ANIE Rinnovabili e di uomo d’azienda, direttore generale Fronius.

Energy storage: la dimensione del mercato Italia

Alberto Pinori FroniusStiamo parlando – stando alle stime ANIE – di un mercato sostanzialmente stabile, nel confronto dei dati 2017 e 2018, quantificabile in 6/7mila installazioni annuali.

Sono numeri tipici di un mercato giovane, lontani dai 45mila e più nuovi impianti fotovoltaici annui nel residenziale. La combinazione tra batterie e pannelli avviene quindi nel 15-20% dei casi.

In Germania si parla di 25/30mila impianti di accumulo energetico abbinati agli impianti di energia solare, ma godono di un sistema incentivante più diretto; da noi vi sono le detrazioni fiscali al 50%, una misura importante ma non sufficiente per farlo diventare uno strumento immediatamente appetibile.

Quali strumenti occorre mettere in campo perché si diffondano maggiormente gli impianti di accumulo italiani?

Perché il nostro mercato passi dai numeri attuali a quelli di vertice come quelli tedeschi servono stimoli più forti. Come ANIE Rinnovabili abbiamo attuato misure volte a promuovere sistemi di accumulo abbinato al fotovoltaico, accogliendo con favore i bandi di Regione Lombardia o altre misure comunque temporanee a sostegno. Perché la soluzione possa diffondersi significativamente serve stimolare l’adozione di misure a livello nazionale mediante un programma ragionato d’incentivi mirati, ma non a pioggia come è accaduto con le rinnovabili.

Oggi per sopperire al costo di batterie ad accumulo, in litio e costose, occorrerebbero misure in grado di sostenere l’impegno finanziario per un ritorno economico interessante. Ma sarebbe ancor più necessario incentivare altre componenti, per esempio, la ricerca e sviluppo, perché possano arrivare a soluzioni altrettanto o più performanti, ma meno costose, specialmente per le aziende che hanno produzioni massicce.

Perché incentivare l’energy storage e non, per esempio, la mobilità elettrica o altre soluzioni innovative?

L’accumulo energetico ha un valore di sostegno alla rete, nel bilanciare i flussi di produzione. In Italia contiamo su più di 700mila impianti fotovoltaici residenziali; se abbinati allo storage potrebbero compensare ampiamente il calo naturale nel momento in cui il sole tramonta.

Ristrutturazioni dell’esistente, come potrebbe inserirsi lo storage per far parte integrante dell’efficientamento energetico?

Bisognerebbe ragionare in termini olistici, pensando all’inserimento di un impianto di accumulo non solo elettrico ma anche termico. Lo stesso sistema della casa efficiente lo dobbiamo intendere a tutto tondo, quindi con un intervento organico che contempli l’adozione di un impianto fotovoltaico, del solare termico con accumulo, di pompe di calore oltre a un eventuale caldaia ibrida.

Questo richiede sì un investimento importante, ma il risparmio energetico ottenibile consente di coprire l’esborso in tempi ragionevolmente contenuti. Pensiamo che oggi di quei 45mila impianti fotovoltaici installati annualmente, metà sono progettati per essere integrabili con batterie di accumulo, ma l’altra metà non prevedono questa possibilità. È un limite sensibile.

Occorrerebbe prevedere l’adozione di una figura professionale, quale l’energy manager, in grado di calcolare precisamente la necessità energetica effettiva di un’abitazione e le soluzioni di efficienza energetica necessarie per il suo riscaldamento, raffrescamento, accumulo energetico e termico.

La trafila burocratica necessaria all’installazione di un sistema di storage è complessa?

Poniamo la questione in questi termini: basterebbe affidarsi a uno specialista competente nell’installazione e in grado di gestire interamente i passaggi burocratici. Non si tratta di una trafila particolarmente complessa, ma la complessità vera è data dall’Italia nel suo insieme.

Nella sua veste di uomo d’azienda, all’interno di Fronius, quali sono le caratteristiche che piacciono di più al mercato?

batterie caricaInnanzitutto la flessibilità. È un elemento vincente in quanto offre diverse possibilità: per esempio, l’uso dell’inverter con batteria per un accumulo temporaneo di energia dal fotovoltaico permette di decidere, col tempo, se aggiungere una soluzione di accumulo energetico più o meno grande per affrontare un eventuale sviluppo delle dotazioni tecnologiche domestiche.

Altro punto importante è la caratteristica delle batterie: oggi l’unica strada percorribile è quella che porta al litio, ma occorre arrivare a soluzioni di accumulo più compatte e innovative specie al servizio delle aziende. Esse hanno produzioni energetiche più cospicue rispetto a quelle residenziali, e necessitano oggi di batterie con un ingombro sensibile.

La batteria di accumulo energetico potrà essere una leva utile a sviluppare il mercato dell’auto elettrica?

Guardiamo la questione da un altro punto di vista: il veicolo elettrico potrebbe esso stesso essere una soluzione di energy storage. Una volta caricata in casa, di notte, il totale dell’energia incamerata dalla vettura potrebbe essere in parte impiegato per usi domestici. Col progressivo sviluppo della capacità di autonomia delle auto elettriche sarà possibile pensare sempre più questa opzione. Anche in questo occorre flessibilità, a livello normativo, per permettere questa soluzione. Ma prima, sicuramente, serve che sulle strade italiane circolino un maggior numero di vetture elettriche…

Ciò che oggi mi pare meno fattibile è pensare di ricaricare le auto in città. Le colonnine dovrebbero posizionate invece, oltre che in ambito residenziale, sui posti di lavoro, negli hotel o nei centri commerciali dove è possibile ricaricare in tempi adeguati le vetture. Potrebbe generare un mercato dove le attività commerciali diventino appetibili anche per la presenza di infrastrutture di ricarica.

Cosa serve perché l’energy storage prenda piede, quanto meno sia adeguatamente conosciuto?

Si dovrebbe prendere a riferimento l’esempio di Tesla. Quando si è proposta sul mercato, lo ha fatto da attore in grado di costituire una catena corta: produttore e consumatore. Tesla ha accorciato drasticamente la filiera, costituita prima da distributori, installatori ecc. proponendo una vettura che può essere anche una batteria di accumulo.

In questo momento tutte le aziende dovrebbero pensare a questo tipo di comunicazione diretta, in modo che si diffonda lo storage e diventi una soluzione conosciuta e praticabile un po’ com’è oggi l’adozione dei pannelli solari: il fotovoltaico, infatti, è un argomento che tutti almeno conoscono.

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Andrea Ballocchi

Giornalista freelance, si occupa da anni di tematiche legate alle energie rinnovabili ed efficienza energetica, edilizia e in generale a tutto quanto è legato al concetto di sostenibilità. Autore del libro “Una vita da gregario” (La Memoria del Mondo editrice, prefazione di Vincenzo Nibali) e di un manuale “manutenzione della bicicletta”, edito da Giunti/Demetra.
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