Smart City in Italia, c’è ancora molto da fare

Angela Tumino, Direttore dell'Osservatorio Internet of Things, segnala criticità e aspetti necessari perché vi sia una piena diffusione delle smart city in Italia

Angela TuminoIn tema di smart city italiane è possibile applicare l’esempio del bicchiere mezzo pieno o vuoto: se si è ottimisti, si può osservare, per esempio, circa che la metà dei 260 Comuni monitorati ha avviato un progetto di smart city e c’è un interesse diffuso per capire come cogliere opportunità per il territorio in ottica “intelligente”. Se invece si è pessimisti – o realisti – si nota come in Italia i progetti dedicati sono in buona parte ancora in fase sperimentale.

La ricerca sulla Smart City dell’Osservatorio Internet of Things della School of Management del Politecnico di Milano mette in evidenza diversi aspetti che attengono ai servizi avviati, a quelli in divenire, ma anche a evidenziare opportunità da cogliere e ostacoli da superare.

In occasione della presentazione dell’indagine abbiamo incontrato Angela Tumino, Direttore dell’Osservatorio Internet of Things per comprendere meglio l’andamento nazionale sul tema.

L’Italia delle smart city a che punto è rispetto al contesto internazionale?

Il problema che scontano le città italiane è che stanno perdendo terreno rispetto a quanto avviene nelle realtà urbane d’Europa. Certo, ci sono esempi virtuosi come Milano, Bologna, Firenze che stanno avviando progettualità e definendo strategie complessive, ma c’è ancora da fare per colmare il gap.

Cosa manca alle città italiane per essere davvero smart?

Al di là della progettualità specifica in un determinato ambito, notiamo spesso mancare la definizione di una strategia chiara di cosa voglia dire davvero smart city calata poi nel territorio circostante. Soprattutto, quello che balza all’attenzione è la scarsità dei dati raccolti. Oggi una città dovrebbe essere interessata soprattutto a raccogliere dati e informazioni utili a migliorare il governo stesso del proprio territorio. Lo sanno bene le aziende private: grazie ai dati raccolti si possono prendere decisioni migliori.

Questa sensibilità manca non solo nei singoli enti locali, ma anche a livello centrale non c’è un indirizzo chiaro in proposito. Malgrado nel passato si sia tentato di istituire tavoli di lavoro per tracciare delle linee guida, si è risolto in un nulla di fatto.

C’è quindi una decisa difficoltà circa cosa si dovrebbe fare prima ancora di reperire i fondi necessari all’attuazione.

Una delle due principali barriere evidenziate dalle città in ottica smart city è la mancanza di competenze. Cosa si può fare per colmare questa lacuna?

Smart CityOccorre lavorare su diversi livelli uno dei quali riguarda la necessità di uscire da uno schema predefinito secondo cui un Comune deve essere l’unico promotore dei progetti smart city. Le competenze non possono essere appannaggio esclusivo dell’ente locale.

Occorre appoggiarsi a esterni che garantiscano il necessario know how; tuttavia, l’amministrazione comunale deve contare su una competenza basilare per definire quanto meno la strategia, basandosi su una figura in ambito Ict in grado di comprendere soluzioni, opzioni, alternative, pregi e difetti. Altrimenti il rischio è di essere in balia di un fornitore tecnologico o di un altro portatore d’interesse puramente commerciale.

Tali lacune potrebbero essere colmate quanto meno definendo alcune linee guida a livello centrale, e poi stabilendo collaborazioni con network di ricerca come le università locali, specie se hanno già sviluppato competenze in materia di gestione dei dati, di analisi, di tecnologie digitali.

Occorre quindi operare su più livelli e competenze, interne ed esterne.

A proposito di efficienza energetica, come si sposa il tema con quello delle smart city?

La serie d’interventi necessari in tema di efficienza coniuga soluzioni tecnologiche ai materiali. Oggi, solo considerando l’adozione di tecnologie IoT abbinate alla gestione energetica degli edifici, l’investimento necessario è in grado di ripagarsi col risparmio energetico ottenuto, contando sulla riduzione dei consumi anche del 10-20% annuo.

Se poi questo si coniuga all’ambito residenziale, la questione assume un valore ancora più evidente. Stiamo terminando uno studio dedicato alla comprensione dall’impatto dell’efficienza energetica sulle abitazioni. Si evidenziano già dei temi interessanti che sono il punto di partenza per comprendere ad esempio se ha senso porre degli incentivi in grado di stimolare le persone ad adottare certe soluzioni.

Fare efficienza energetica è un processo virtuoso che non riguarda solo la riduzione dei consumi, ma ha conseguenze positive anche a livello ambientale, con la conseguente riduzione dell’inquinamento e sulla migliore qualità di vita.

Quanto sarà utile l’Internet of Things per cambiare lo scenario attuale in materia di smart city?

Lo reputo fondamentale. Già solo il vantaggio dell’IoT di mettere a disposizione soluzioni tecnologiche e di comunicazione a costi inferiori rispetto a mezzi tradizionali è un pregio considerevole. L’Internet delle Cose mette a fattor comune l’infrastruttura necessaria consentendo da un lato, per chi si occupa di progetti, di non preoccuparsi più di alcuni aspetti tecnologici.

È possibile rilevare almeno una peculiarità positiva delle smart city italiane?

Una in particolare: molte iniziative sono partite da piccoli Comuni. È un segnale positivo di un territorio che afferma la volontà di rinnovarsi. Ora si deve lavorare per metterlo nelle condizioni di poterci riuscire, non lasciando solo l’amministratore locale illuminato, ma lavorando a livello corale e coordinato.

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Andrea Ballocchi

Giornalista freelance, si occupa da anni di tematiche legate alle energie rinnovabili ed efficienza energetica, edilizia e in generale a tutto quanto è legato al concetto di sostenibilità. Autore del libro “Una vita da gregario” (La Memoria del Mondo editrice, prefazione di Vincenzo Nibali) e di un manuale “manutenzione della bicicletta”, edito da Giunti/Demetra.
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